Testimonianza giornalistica sul salvataggio di profughi nel Mediterraneo con Open Arms
di Nicole Barbagallo.
Sulla rotta del silenzio istituzionale
Durante il suo intervento narrato in prima persona, la giornalista Melissa Aglietti ha raccontato la realtà delle operazioni di salvataggio in mare svolte da Open Arms, progetto no profit che soccorre migranti nel Mediterraneo. Melissa ha sottolineato come il governo, spesso, non voglia pubblicizzare queste missioni: «se non viene documentato, non è mai successo». Un paradosso sostanziale, che acuisce l’importanza della presenza della stampa sul campo.

Sempre in movimento, nonostante tutto
Secondo Melissa, il flusso migratorio non si arresta, anche quando le operazioni restano nascoste. L’idea che molti migranti non vengano nemmeno registrati emerge con chiarezza: l’unico modo per rendere visibili queste storie è filmarle, raccontarle, testimoniare.
Sul ponte di comando: tatto e discrezione
Durante le missioni, il personale di bordo supervisiona attentamente dove si posizionano i giornalisti: trovarsi vicino al motore, per esempio, rischia di far scambiare i reporter per trafficanti. In un ambiente così delicato, Melissa ha spiegato che giornalismo e documentario hanno scopi diversi: il primo cerca verità, il secondo emozione e profondità narrativa, richiedendo sensibilità e discrezione nel racconto.
Il tempo che non esiste
In mare, quello del tempo è un concetto sfumato. Melissa ha descritto una sintonia intensa tra i volontari – persone normali che lasciano il lavoro o le ferie per andare a soccorrere. Nel momento dell’intervento si instaura un “distacco emotivo”: si agisce, si aiuta, si chiude il cervello – e si pensa dopo. Poi, una volta terminato, le emozioni esplodono. La gratitudine di chi si sente al sicuro si rivela impagabile.

Strumenti leggeri, impatto profondo
Il video che racconta questa esperienza, dura circa 20 minuti e proviene quasi interamente da riprese effettuate con un semplice cellulare — lo strumento che più rassicura sia chi riprende sia chi viene salvato. Melissa sottolinea che attrezzature più ingombranti o professionali avrebbero rischiato di turbare i migranti al momento del soccorso. Per realizzare quel video, lei e il suo montatore hanno lavorato per mesi, tagliando, montando, perfezionando le immagini per mantenere un racconto autentico e rispettoso.
Rispetto e distacco oltre il salvataggio
Alla domanda se fosse rimasta in contatto con le persone soccorse, Melissa ha risposto con fermezza: “No”. In genere, spiegava, il 99% di loro non fornisce generalità precise per paura. E il rispetto della loro privacy è una scelta consapevole: non si spingono a cercare legami personali, ma restano testimoni discreti delle loro storie.

Collaborazioni difficili, ostacoli imprevisti
Tra tutti, la Guardia Costiera si è dimostrata partner fondamentale e collaborativo. Ma non tutte le istituzioni agiscono allo stesso modo: alcune creano difficoltà, ritardi e situazioni di tensione. Da qui, l’esigenza di avere giornalisti a bordo, capaci di testimoniare e rendere trasparenti quei momenti critici.
Conclusione: testimonianza contro il silenzio
Questa cronaca – a metà tra documentario e reportage – è il risultato di quattro mesi di testimonianza sul campo. Melissa Aglietti, grazie alle sue riprese al cellulare e alla collaborazione con un montatore, ha dato forma a un racconto che fa respirare l’umanità dietro ai numeri del dramma migratorio. Le immagini, i suoni, le emozioni: perché, se ciò che accade non viene visto, rischia di non esserci mai stato.

Nicole Barbagallo
Le foto sono state prese dai seguenti siti: infomigrants.net; reuters.com; english.elpais.com.