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Politica incomprensibile o giornalismo pigro?

di Federico Zuolo.

I politici parlano un linguaggio incomprensibile? O il problema è l’eccessiva semplificazione del linguaggio a cui ci ha abituato la politica, complice anche un giornalismo pigro? Ne discute, in questo articolo per Infoedmag, il Prof. Federico Zuolo, Professore di Filosofia politica Unige e docente di Analisi del Linguaggio Politico presso Informazione ed Editoria.

“Fallimento delle politiche di esternalizzazione del governo”

Questa è l’ultima, presunta, prova di incapacità comunicativa di Elly Schlein. In una recente puntata di Otto e Mezzo su La7, Lilli Gruber incalza Elly Schlein, che aveva parlato di “fallimento delle politiche di esternalizzazione del governo”, chiedendole un chiarimento sull’espressione incriminata sostenendo che non sarebbe comprensibile al pubblico medio. Schlein risponde ripetendo quanto già detto in altre occasioni, ovvero che è inaccettabile appaltare ad altri governi, spesso di dubbia democraticità, la gestione dei flussi migratori alle frontiere.

La gran parte delle reazioni della politica e del giornalismo prendono per buona l’accusa di Gruber (e di Massimo Giannini a sua volta presente nella trasmissione) avvalorando il tormentone secondo cui Schlein sarebbe incapace di prendere posizioni chiare e di spiegarle al pubblico. Si accetta così, come dato acquisito, l’accusa di destra, secondo cui Schlein sarebbe l’emblema della sinistra radical chic incapace di parlare al popolo e quindi incapace di capirne i bisogni.Si potrebbe aggiungere che l’intervista insolitamente incalzante a Schlein è il sintomo di una strana iniquità di trattamento. Di solito chi è al governo deve essere oggetto di maggiore attenzione critica rispetto all’opposizione, proprio perché, essendo al governo, ne porta la piena responsabilità. A ciò va aggiunto che Meloni sfugge a tutti gli incontri con la stampa e ha usato espressioni molto più insolite di “esternalizzazione” (si ricordi quando parlò di “globo terracqueo”, ricordo grottesco di periodi infausti).

Incomprensibile politichese, populismo mediatico e semplificazione del linguaggio

Ma non intendo qui difendere la segreteria di Schlein da un punto di vista sostanziale o comunicativo. Tuttavia, nello specifico, si potrebbe dire che il termine “esternalizzazione” è del tutto comprensibile, essendo ormai utilizzato nel dibattito pubblico da tutte le parti, non soltanto dagli economisti. Ma il problema da segnalare va oltre la richiesta di chiarimento sul termine “esternalizzazione” e non si riduce a una vera o presunta stampa ingiustamente critica verso Schlein. Infatti, la domanda sull’incomprensibilità dell’esternalizzazione è il sintomo di un problema ben più vasto.

Sostenendo che il pubblico non capisca il termine “esternalizzazione”, si avvalora l’idea che il pubblico sia incapace di comprendere un ragionamento che usa termini, forse non incomprensibili, ma di certo diversi dal linguaggio minimale e ordinario. Nel presumere questo, oltre a giustificare un linguaggio fintamente chiaro e in realtà soltanto semplicistico, il giornalismo che si fa complice del suo maggior nemico, ovvero il populismo mediatico. E nel contribuire a questo fenomeno, almeno indirettamente, il giornalismo a sua volta è complice di una possibile incapacità o disabitudine a usare termini corretti e discorsi articolati.

Un giornalismo pigro?

Anche senza aspettarsi che il giornalismo si dedichi a un miglioramento del dibattito pubblico e della coscienza civile, espressione al giorno d’oggi quasi retorica nel suo idealismo, non è veramente chiaro di cosa si dovrebbe occupare il giornalismo se non del discutere, nei termini propri e adeguati, quanto sostenuto dai politici. Il presumere l’incapacità del pubblico è, in sostanza, un autodafé di una classe che contribuisce a infantilizzare il pubblico, avvalorando così il famoso detto berlusconiano (“il pubblico è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente”).

I fenomeni di ascesa del populismo e di riconfigurazione del dibattito pubblico alla luce delle piattaforme social sono questioni di grande complessità che non dipendono certo da situazioni tutto sommato marginali. Questo piccolo caso, però, mostra nuovamente la necessità di assumere una responsabilità condivisa nella comunicazione pubblica. La necessità che ciascuno svolga la propria parte nel mantenere un’ecologia sana e funzionante del dibattito pubblico. Le responsabilità sono condivise a vari livelli (dai politici sino ai semplici cittadini) ma interrogano in particolar modo i soggetti che professionalmente sono chiamati a elaborare in primo luogo la discussione pubblica: giornalisti e professionisti della comunicazione. Sebbene le suddette dinamiche globali non possano essere risolte solo dalla buona volontà dei singoli, quest’ultima è la precondizione professionale e civica per affrontare il disordine della comunicazione contemporanea.

Federico Zuolo


Docente di Analisi del linguaggio politico

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