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Media digitali e mutamento sociale: libertà o controllo?

di Luca Raffini.

I media digitali agiscono in profondità sui mutamenti sociali. Cambiano il modo in cui ci relazioniamo con i nostri amici, la forma in cui ci informiamo e comunichiamo, le modalità con cui studiamo e lavoriamo, le nostre pratiche di fruizione culturale e di consumo. Nel complesso, l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione promuove e radicalizza quello che, d’accordo con il sociologo britannico Anthony Giddens, possiamo definire una “compressione spazio-temporale”, ovvero lo sganciamento dell’esperienza sociale dai vincoli dello spazio e del tempo.

Media digitali: dobbiamo essere ottimisti o scettici?

Sin dai suoi albori l’avvento di internet accende una disputa tra ottimisti/entusiasti e scettici/catastrofisti. Per i primi, la rete avrebbe favorito maggiore libertà e autonomia, per i secondi avrebbe fornito strumenti di manipolazione e di controllo. In un contesto in cui le posizioni sembrano conformarsi a un ingenuo ottimismo entusiastico, da una parte, e a un pessimismo di natura apocalittica nei confronti del progresso tecnologico, dall’altro, il duplice volto delle tecnologie digitali è stato colto, con uno straordinario acume, da Stefano Rodotà già nel 1997, agli albori dell’era digitale.

Nel libro intitolato Tecnopolitica, Rodotà avverte che i media digitali avrebbero aperto a inedite possibilità di conoscenza e di partecipazione da parte dei cittadini, al punto da ridisegnare le pratiche sociali, culturali e politiche. Ma mette in guardia anche dal rischio dell’affermazione di una “società dell’implacabile sorveglianza”, favorita dalla diffusione capillare e dall’onnipresenza della connessione.

Con riferimento al celebre pamphlet di Umberto Eco, Apocalittici e integrati, dopo anni in cui sono sembrate prevalere le ragioni dei secondi, oggi ci troviamo di fronte a una serie di fenomeni che paiono confermare le paure dei primi. Ci riferiamo ai crescenti fenomeni manipolativi, alla degenerazione del dibattito pubblico e al dilagare delle fake news, all’allarmante imbarbarimento delle relazioni, alla tendenza all’isolamento di un numero crescente di giovani che rifiutano ogni forma di relazione sociale non mediata dallo schermo (gli hikikomori).

Pandemia, mutamento sociale e media digitali

L’esperienza pandemica ha messo in rilievo quanto i media digitali siano oggi una risorsa imprescindibile, e al tempo stesso ne ha evidenziato i rischi. É grazie alla rete, ai social media, alle piattaforme, se l’esperienza dell’isolamento fisico non si è trasformata in isolamento sociale (termine utilizzato impropriamente nel linguaggio comune), come sarebbe avvenuto sino a pochi anni fa. I media digitali sono diventati ancor più la nostra principale finestra sul mondo e il luogo delle nostre attività e delle nostre relazioni. Non sorprende quindi che siano oggi il teatro dei nostri vizi e delle nostre virtù. La logica di funzionamento dei social e delle piattaforme può senz’altro contribuire a plasmare le interazioni che vi prendono forma, ma non dobbiamo cadere nell’errore di attribuire alle tecnologie una sorta di intenzionalità. Le tecnologie contribuiscono a trasformare la società, ma ancor prima il loro utilizzo è plasmato socialmente.

Dipendenza dai media digitali: social al centro del dibattito

È opportuno partire da questo presupposto anche per riflettere su uno dei temi oggi più dibattuti: la dipendenza dai media digitali, e in particolare dai social. Un tema che è, a sua volta, strettamente collegato alla questione dell’individualizzazione e alla sostituzione delle relazioni “reali” con le interazioni “virtuali”.

Prendiamo due immagini. La prima ci mostra un vagone della metropolitana: quasi tutti i passeggeri sono concentrati sul proprio smartphone o tablet. La seconda immortala un tavolo di commensale: non vi è relazione tra loro, perché sono tutti impegnati a compulsare il proprio smartphone. Entrambe le immagini raffigurano efficacemente la nostra dipendenza dai media digitali, ma ne colgono aspetti assai diversi.

Nel primo caso i soggetti sono utenti del mezzo pubblico, lavoratori, studenti che viaggiano perlopiù da soli. Circola un’immagine in cui si paragona la fotografia di oggi con una fotografia di alcuni decenni fa, in cui molti passeggeri leggevano un giornale o un libro, mentre altri parlavano tra di loro. L’immagine è corredata da commenti sull’individualismo e l’ignoranza oggi imperanti. Eppure, i passeggeri di oggi stanno facendo esattamente quello che facevano i loro predecessori. Alcuni leggono un periodico online o un e-book, altri si informano ascoltando un podcast o guardando dei video sui fatti del giorno. Molti altri consultano un social network, rispondono a mail o sono impegnati in chat. Ovvero, si stanno relazionando con altre persone.

Quella che – vista da una certa prospettiva – è un’immagine di solitudini incomunicabili, guardata da un altro punto di vista è un concentrato di relazioni, che astraggono il passeggero dal luogo fisico e lo connettono con il mondo esterno. È vero, dimostra che siamo tutti dipendenti dai media digitali, ma in questo caso parliamo di una dipendenza funzionale.

Cellulare e media digitali: l’uso da parte degli adolescenti

Qualche anno fa, in occasione di una ricerca sul rapporto tra giovani e cellulare, ho osservato che il cellulare racchiude per gli adolescenti di oggi l’intera cameretta, ovvero, il proprio mondo. Le fotografie e i poster attaccate alla parete, i diari, le pile di cd, i libri e i fumetti, la tv, il telefono, i ricordi delle vacanze. Tutta la nostra vita, le nostre relazioni, la nostra memoria, è contenuta nello smartphone. È qui che consulto la mia agenda, che controllo i voli e i treni prenotati, che ordino la cena su una piattaforma di delivery, che prenoto l’appartamento per il fine settimana a Barcellona, che cerco le scarpe che voglio acquistare. Se ho il telefono scarico non solo non posso comunicare, non ho con me l’agenda, il biglietto del treno, i soldi.

Come la dipendenza funzionale dai media digitali diventa psicologica

Insomma, tale è l’importanza dei media digitali, e tante le pratiche e le relazioni che vi prendono forma, che la dipendenza funzionale rischia facilmente di assumere la forma di una dipendenza psicologica. Non solo sono assalito dall’ansia se non ho con me lo smartphone, perché mi sento isolato, ma provo continuamente l’impulso di prenderlo in mano, per controllare se c’è una nuova mail, una notifica, un messaggio. La dipendenza di tipo psicologico dai media digitali è del resto favorita dalla loro stessa architettura. Contenuto dopo contenuto, siamo portati a “swippare” (scorrere il dito, per caricare nuovi contenuti), per vedere cosa ci sarà dopo, e ancora dopo. Si tratta di un gesto che assomiglia, per alcuni aspetti, allo zapping televisivo, con la differenza che, dopo un po’ i canali sono finiscono, i social, invece, si aggiornano continuamente.

La quantità di stimoli ricevuti, la continua distrazione e la sovrapposizione di una molteplicità di dimensioni comunicative incide negativamente sull’attenzione, sulla capacità di concentrarsi su un argomento, senza essere “risucchiati” dal flusso vorticoso di contenuti che ci distraggono. La spinta incontrollabile a guardare lo smartphone non è molto diversa da quella che prova il giocatore alle slot machine o chi soffre di disturbi alimentari.

Media digitali e cellulare: la chiusura di alcuni utenti nei confronti del mondo

Torniamo alla seconda immagine che avevamo evocato, quella dei commensali chini sul proprio smartphone. Ci dice qualcosa di diverso rispetto a quella della metropolitana. Non ci parla di individui che utilizzano il tempo impiegato nel tragitto per comunicare con altri, informarsi, leggere o ascoltare musica. Che utilizzano il loro smartphone per realizzare una serie di attività che anni fa avrebbero richiesto strumenti diversi. Ci parla di individui che, in un contesto di socializzazione, si chiudono nel proprio mondo, che rinunciano all’interazione faccia a faccia, che si isolano. Ecco, in questo caso quella che mostriamo è una dipendenza psicologica, che nei casi estremi può assumere la forma di una vera e propria compulsività, al punto di allontanarci dalle relazioni faccia a faccia, che risultano faticose e poco attrattive.

è sociologo e ricercatore a tempo determinato. Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali

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